Lo scorso 14 novembre i quattro quinti del Parlamento europeo hanno approvato - con l’introduzione di ulteriori emendamenti restrittivi - una proposta di regolamento della Commissione che impone limiti alle emissioni di CO2 anche per i veicoli pesanti, che dovrebbero essere ridotte nel 2030 del 35% rispetto a quelle attuali.
Pur condividendo pienamente gli obiettivi di uno sviluppo sostenibile, riteniamo che sia indispensabile ricordare come questi ultimi non possano trascurare la dimensione economica e sociale della sostenibilità complessiva.
Anche ammesso che - nonostante le profonde riserve più volte sollevate in merito dai costruttori dei veicoli industriali - tali obiettivi siano tecnicamente raggiungibili in fase di produzione, senza adeguati meccanismi di incentivazione, come lo stesso Parlamento Europeo ha riconosciuto, difficilmente si tradurranno in un conseguente rinnovo del parco circolante coerente con essi, poiché non saranno promossi i necessari cambiamenti strutturali del mercato che potrebbero condurre ad una effettiva riduzione delle emissioni.
Risulta estremamente difficile quantificare le riduzioni di CO2 attribuibili al trasporto di merci in questo primo scorcio del terzo millennio.
Tuttavia, tenendo presente che esiste una relazione diretta tra consumi di carburante ed emissioni di CO2, dall’esame del maggior numero possibile di dati storici si può stimare che il consumo medio di carburante di un veicolo pesante dal 1990 ad oggi sia diminuito del 24%.
Prendendo ad esempio l’Italia e assumendo costante l’entità del parco circolante, nell’ipotesi più sfavorevole che il consumo dei veicoli pesanti rimanga inalterato nel prossimo futuro, con un piano ventennale di rinnovo totale del parco, da oggi al 2039 si può valutare una riduzione dei consumi pari a 22 miliardi di litri di gasolio, con una riduzione di emissioni di CO2 pari a 58 milioni di tonnellate.
E’ dunque davvero priva di ogni fondamento programmatico concreto una politica che obblighi i costruttori a sforzi finanziari e tecnologici inauditi per ridurre le emissioni allo scarico dei veicoli, se poi i conseguenti benefici in termini di sostenibilità non possono essere effettivamente trasferiti alla circolazione stradale, perché il parco circolante non trova le risorse per un consistente rinnovo.
Se, poi, si pensa che la cosiddetta decarbonizzazione, che è nell’intenzione di tutti, possa essere raggiunta in tempi brevi attraverso l’impiego su vasta scala di motorizzazioni dette “ad emissioni zero”, e segnatamente quelle elettriche nelle varie declinazioni, è opportuno tenere presente che l’elettrificazione dei veicoli pesanti per il trasporto merci è oggi in fase sperimentale, né si può semplicisticamente pensare di poterla accelerare solo con misure capziose, che rendano difficile il raggiungimento degli obiettivi prefissati attraverso l’impiego dei più moderni e innovativi sistemi di alimentazione a carburanti tradizionali.
Per queste ragioni Conftrasporto, Federauto e UNRAE, Sezione Veicoli Industriali, anelli del sistema Confcommercio, ribadiscono che la transizione verso lo scenario dei trasporti a “zero emissioni” vada guidata nel rispetto del principio della neutralità tecnologica, coinvolgendo con impegni e assunzioni di responsabilità, basati su dati oggettivi e informazioni realistiche, tutti gli attori della filiera, senza fughe in avanti non coordinate che penalizzerebbero inutilmente una sola componente, senza conseguire i risultati attesi.
Ci si chiede infine come intenda il Governo italiano conciliare obiettivi tanto ambiziosi, condivisi a livello europeo, con l'adozione di politiche nazionali di sussidi a pioggia concessi agli autotrasportatori, senza alcun criterio premiante nell'ottica della sostenibilità ambientale, ovvero con la decisione di non prorogare efficaci politiche di sostegno al rinnovo del parco circolante, quale ad esempio il superammortamento.
Una politica di rinnovo sostenibile del parco circolante che punti concretamente alla soluzione dei problemi ambientali non può essere strabica o perseguita a targhe alterne: a Strasburgo sì e a Roma no.
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